Cos’è il Mobbing?
Con il termine mobbing, (to mob= aggredire), ci si riferisce a quel fenomeno di aggressione nell’ambiente di lavoro, caratterizzato da una situazione di conflittualità, da attacchi persistenti, che si risolvono in sistematici comportamenti ostili che possono assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibro fisiopsichico e del complesso della sua personalità, oltre a poter comportare una violazione della dignità, del decoro e della professionalità della vittima.
Condotte che possono configurare una fattispecie di mobbing possono essere le più disparate, come ad esempio: un licenziamento illegittimo; fenomeni di natura discriminatoria o diffamatoria nei luoghi di lavoro; trasferimenti illegittimi di un lavoratore presso un’altra sede; applicazione di sanzioni non giustificate; fenomeni di dequalificazione del lavoratore.
Il mobbing si differenzia dallo straining, in quanto il primo si caratterizza per una serie di condotte ostili, continue e frequenti nel tempo, mentre il secondo presuppone la sussistenza di una singola azione con effetti duraturi nel tempo (demansionamento/dequalificazione professionale).
Tipologie di Mobbing
Mobbing orizzontale: attuato da uno o più colleghi contro un lavoratore posto gerarchicamente allo stesso livello. Integra una situazione di conflittualità creatasi in azienda a causa di problemi caratteriali e relazionali che un lavoratore ha con i propri colleghi (Cons. Stato, Sez. IV, 15/10/2018, n. 5905). Sono invece escluse da questa ipotesi situazioni di invidia provata nei confronti di un collega.
Mobbing verticale: serie di comportamenti vessatori di soggetti posti in livelli diversi della scala gerarchica. Due sono le ipotesi:
- Bossing: attuato da parte del datore di lavoro, che si prefigge come scopo di isolare il lavoratore e renderlo estraneo al proprio ambiente lavorativo. Si pensi ad esempio a quelle strategie aziendali poste in essere al sol fine di isolare o escludere soggetti “scomodi” come le lavoratrici madri che possono godere dei congedi, o i lavoratori più anziani che, oltre a essere meno malleabili, non garantiscono all’azienda gli sgravi contributivi previsti dalla legge per i lavoratori più giovani.
- Mobbing ascendente o dal basso verso l’alto: attuato da un lavoratore nei confronti di un soggetto a lui gerarchicamente sovraordinato. Tale fattispecie risulta configurarsi molto più di rado.
Mobbing e risarcimento del danno
Il lavoratore cd. mobizzato, può agire in giudizio al fine di richiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali arrecategli.
Il danno non patrimoniale ex art 2059 c.c., in particolare, si articola nella triplice accezione del danno morale soggettivo, quale mero dolore o patema d’animo interiore; del danno biologico, consistente nella lesione all’integrità psico-fisica accertabile in sede medico-legale; del c.d. danno esistenziale, determinante una modifica peggiorativa della personalità da cui consegue uno sconvolgimento delle abitudini di vita, con alterazione del modo di rapportarsi con altri nell’ambito della comune vita di relazione, sia all’interno che all’esterno del nucleo familiare.
Il diritto al risarcimento del danno, causa mobbing, è subordinato alla sussistenza dei presupposti di responsabilità civile contrattuale ovvero extra contrattuale, in particolare:
- Nel primo caso, di responsabilità contrattuale, la condotta vessatoria è da imputare al datore di lavoro, infatti l’art 2087 c.c. impone allo stesso di “adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Il lavoratore, in sede giudiziaria, avrà l’onere di documentare l’inadempimento contrattuale del datore di lavoro, il danno e il nesso causale tra il primo e il secondo. I comportamenti vessatori possono essere provati con testimoni e con documenti scritti (anche producendo una conversazione via whatsapp o e-mail). Il lavoratore potrebbe altresì produrre la registrazione di una nota vocale che dia prova della condotta vessatoria, tuttavia, sarà ammissibile quale elemento probatorio da spendere in sede giudiziaria, nel caso in cui la stessa, sottoposta al vaglio del CTU nominato dal giudice, non risulti alterata o modificata (ad esempio non devono risultare dei tagli alla nota vocale). Il datore di lavoro, invece, dovrà provare di aver garantito la protezione legislativamente richiesta ex 2087 c.c., ossia l’adozione delle misure di sicurezza e di prevenzione, che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessari a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. (Cass., civ., sez. lav., 2 maggio 2000, n.5491; Cass civ., sez. lav., 29 gennaio 2013, n. 2038);
- Nel secondo caso, di responsabilità extra contrattuale, la condotta vessatoria è da imputare ai lavoratori posti sul medesimo piano gerarchico della vittima e quindi ai colleghi, ovvero anche da lavoratori superiori gerarchicamente che non siano inquadrabili nella persona del datore di lavoro. L’articolo di riferimento è il 2043 c.c. (risarcimento per fatto illecito) “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Il lavoratore, pertanto, ai fini risarcitori, dovrà dare prova della sussistenza del fatto dannoso, del danno patito e quindi del conseguenziale nesso causale, oltre all’atteggiamento, in questo caso doloso, del danneggiante.
Avv. Gianluca Esposito per Studio Esposito Avvocati
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